domenica 18 ottobre 2020

Multiproprietà e credito al consumo: vecchia e nuova disciplina a confronto

A distanza di quasi vent’anni dai fatti, la Cassazione n. 19778 del 2018, ci fa tornare indietro ad un caso, l’ennesimo, di multiproprietà risalente addirittura al 2001 e acquistata con un finanziamento che la banca aveva versato direttamente nelle casse dell’intermediario turistico. 

La multiproprietà, prodotto turistico che fino agli anni duemila rappresentava uno status symbol per coloro che si vantavano di avere una “seconda casa” ai tropici o nel Mar Rosso, oggi è più un impiccio per i loro figli o nipoti, che non vogliono spese di gestione sul groppone e, se proprio devono andare in vacanza, optano per il “mordi e fuggi” o restano in Italia. 

Lo sappiamo, disfarsi dei certificati di multiproprietà è un’impresa. Venderli è quasi impossibile perché ci si imbatte in delle permute, cessioni o soluzioni farlocche (qui un esempio): la soluzione preferibile, dunque, è andare per le vie legali. E, finché si tratta di trovare un difetto di contenuto nel contratto di multiproprietà, la strada è in pianura. Per intenderci, tutti i contratti turistici (e la multiproprietà rientra tra quelli) devono indicare in modo chiaro e comprensibile in cosa consistono, altrimenti sono nulli: rare volte il sistema time sharing, oscuro persino nell’espressione, è stato ritenuto chiaro dai giudici. 

Il problema maggiore si presenta quando si tratta di recuperare i soldi spesi per acquistare questi vetusti certificati, perché ci si scontra contro le ambiguità che gli intermediari di allora ponevano in essere: quella di tenere riservati i rapporti con le banche che erano disposte a finanziare le multiproprietà oppure, se proprio questi rapporti erano palesi, quella di vietare al consumatore di opporre alle banche eccezioni relative al rapporto col venditore.

Per capire il perché di questi comportamenti, dobbiamo parlare brevemente di collegamento funzionale tra contratti. L’espressione è abbastanza semplice da afferrare, perché indica una pratica molto diffusa nella pratica commerciale: le parti si prefiggono un obiettivo e, per raggiungerlo, usano una “catena” di contratti, tutti diversi tra loro, ma saldamente uniti verso il fine. Nel nostro caso, si parla appunto di “mutuo di scopo”: al posto di dare i soldi al cliente, la banca finanzia direttamente il venditore del servizio. 

Vista così, sembrerebbe che i destini dei contratti appartenenti alla catena (quello di multiproprietà e il finanziamento) sia strettamente legato, dipendendo gli uni dagli altri. Riversando questo ragionamento nel nostro caso, si potrebbe dire che, se l’intermediario turistico non mi mettesse a disposizione la casa in multiproprietà, allora potrei chiedere direttamente alla banca di essere rimborsato. 

In realtà, questo ragionamento non è stato così immediato, come testimonia la rigogliosissima dottrina e giurisprudenza in materia. 

Vi è stato un “prima” e un “dopo”, la cui linea di spartiacque è stata segnata dalla normativa in materia di credito al consumo introdotta dal d.lgs.13 agosto 2010, n. 141. 

Per farla semplice, prima del 2010, ed in presenza del vecchio art. 125, comma 4, Testo Unico Bancario si riteneva che, per esserci un vero e proprio collegamento funzionale, ci dovesse essere un vincolo di esclusiva tra banca e venditore del prodotto. Soltanto in quel caso il cliente avrebbe potuto formulare alla banca le eccezioni d’inadempimento da indirizzare al venditore.

Due erano i problemi che si ponevano, uno di ordine pratico e l’altro sul piano dei principi. 

Anzitutto, come avrebbe fatto il consumatore, in un eventuale giudizio contro la banca, a provare il “vincolo di esclusiva”, dal momento che bastava nasconderlo o escluderlo?  

E, poi, perché il consumatore avrebbe dovuto sopportare un prodotto difettoso e, allo stesso tempo, restituire alla finanziaria le rate per l’acquisto? 

Per far fronte a questi problemi e venire incontro al consumatore, una parte della giurisprudenza è andata oltre alla lettera del Testo Unico Bancario e ha elaborato alcuni “indici rivelatori”, indici in presenza dei quali si può dire che esiste un collegamento negoziale. 

Li conosciamo già (qui puoi approfondire), ma val la pena di riprenderli, perché sono all’ordine del giorno nelle sentenze in cui i giudici si sono occupati delle multiproprietà stipulate prima del 2010:

  1) il modulo prestampato della banca nelle mani del venditore; 

  2) l’annotazione del contratto di compravendita nel modulo prestampato; 

  3) la circostanza, assai importante, che la finanziaria eroga il finanziamento direttamente nel conto del venditore. 

Veniamo, ora, al decreto legislativo n. 141 del 2010 che abbiamo citato, e più precisamente all’articolo 121, comma 1, lett. d). 

Esso ha rappresentato un tentativo da parte del nostro legislatore di recepire alcuni indirizzi dell’Unione Europea, per la quale, in presenza di un’operazione commerciale oggettivamente unica, vi deve essere collegamento negoziale.

In realtà, la formula usata nel decreto legislativo si scosta un poco dagli indirizzi ricevuti, ma non è questa la sede per parlarne: basti, per noi, sapere che oggi il “credito collegato” è definito come “quel contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifico se ricorre almeno una delle due condizioni ivi previste: 

1) che il finanziatore si sia avvalso, per promuovere o concludere il contratto di credito, della cooperazione professionale del fornitore;

2) che il contratto di credito individui esplicitamente il bene o il servizio che si intende acquistare con il finanziamento.”

Almeno a nostro avviso, la disposizione poteva essere scritta meglio. Le norme comunitarie, ma anche la giurisprudenza interna, si riferiscono ad operazioni commerciali unitarie e complesse per stabilire una connessione giuridica tra contratto di finanziamento e vendita, con tutti gli effetti che ne conseguono.

Non si vede, dunque, perché scrivere una norma che stabilisce ulteriori criteri - utili, ma non risolutivi – e tralasciare l’operazione economica nel suo complesso, che apre lo spazio ad altri criteri, che la giurisprudenza senz’altro individua e individuerà per tutelare il consumatore.

Qui potete leggere l'Ordinanza n. 19778/2018.

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